Saggi: Introduzione a "Le Committenze Fugger a Roma nel Cinquecento"
INTRODUZIONE
“ Il carattere multiforme delle attività del banchiere lo rende un interessante oggetto di studi e speculazioni”. La frase qui riportata è tratta dall’introduzione di Alan Chong al Catalogo della mostra Ritratto di un banchiere del Rinascimento. Bindo Altoviti tra Raffaello e Cellini tenutasi a Boston e a Firenze nel 2003-2004[1]. Essa può essere valida anche per i Fugger le cui committenze a Roma nel Cinquecento sono oggetto di questa ricerca. La proposta di sviluppare tale argomento per la mia tesi di laurea magistrale venne durante un corso, riservato al biennio, tenuto dalla professoressa Sapori nell’autunno 2005-2006. Il corso era articolato sulla lettura critica di alcuni cataloghi di mostre sul Manierismo[2], tra di essi vi era lo splendido catalogo sull’Altoviti e durante le discussioni generate dalla figura del protagonista, non un artista ma un banchiere-committente, venne naturalmente fuori il parallelo con la famiglia Fugger. Numerose sono infatti le similitudini tra le famiglie Altoviti e Fugger, in particolare tra i due più celebri capo-famiglia. Furono entrambi ritratti dagli artisti più celebrati delle loro terre: Bindo Altoviti fu ritratto da Raffaello, Jakob Fugger il Ricco da Albrecht Dürer. Lo stesso catalogo della mostra ne sottolineava, seppur in maniera marginale, alcuni aspetti di tangenza.
Bindo fu ritratto da Raffaello[3] preso di spalle e tale posizione, secondo un breve saggio di Kathleen Weil-Garris Brandt[4], era da associarsi ai ritratti dell’Europa settentrionale, in particolare i ritratti di mercanti come i Fugger. Il ritratto più vicino a quello di Bindo, di area veneziana, è il Giovane con pelliccia attribuito a Giorgione, il soggetto raffigurato è probabilmente un membro della famiglia Fugger[5]. Le due famiglie avevano entrambe una sede del loro banco a Roma nei pressi della Zecca, ovvero nella zona dei Banchi, di fronte a Castel S. Angelo, dove intrattenevano affari con la Curia[6]. Nota è la storia della demolizione di palazzo Altoviti a piazza di Ponte, oscura invece è la scomparsa di palazzo Fugger[7] anch’esso ubicato nei pressi. Una delle peculiarità del Catalogo su Bindo Altoviti è la trasversalità degli studi proposti. La vicenda delle committenze artistiche del banchiere fiorentino è trattata in una serie di saggi dall’impostazione molto diversa tra loro. Essi esplorano la biografia di Bindo, le sue amicizie, la sua attività di mecenate e di banchiere, “diverse aree di ricerca, come si addice alla multiforme personalità di Bindo”[8]. Una alleanza di diverse discipline storiche in cui l’analisi delle opere d’arte frutto del mecenatismo dell’Altoviti è indirizzata a mettere in luce i diversi aspetti del suo ruolo nella società del tempo.
“Questi grandi mercanti dell’Europa del Rinascimento, venditori di tessuti o di spezie, accaparratori di rame, di mercurio, di allume, banchieri di Imperatori e di re, sperate di conoscerli davvero solo attraverso le loro mercanzie? Non sarà privo di importanza rammentarvi che si facevano ritrarre da Holbein, che leggevano Erasmo o Lutero”. Il brano è tratto dal quarto capitolo dell’Apologia della storia di Marc Bloch[9] e pare riferirsi, seppur in maniera generica, al nostro caso. Bloch fu tra i pionieri della storia comparata[10], nei fogli di appunti per la redazione definitiva vi è un’altra frase indicativa: “l’homo aeconomicus, religiosus o politicus altro non sono che fantasmi. Non esiste se non un uomo tutt’intero, che faccia tutto quello che fa[11]”. La via tracciata dal grande storico francese sembra essere seguita dai curatori del catalogo sull’Altoviti in cui si analizzano i diversi aspetti del personaggio nella politica, negli affari e, trattandosi di una pubblicazione d’arte, soprattutto delle sue scelte di committenza. Questa ricerca sui Fugger segue la stessa direzione: il ruolo che i Fugger ebbero nella storia economica e politica dell’Europa del loro tempo è riassunto nel capitolo I, strutturato sui personaggi che tennero le redini dell’Impresa: Jakob il Vecchio, Jakob il Ricco, Anton e Hans Jakob. Particolare attenzione è riservata agli avvenimenti romani. La sede del loro banco romano fu infatti tra le più importanti per le operazioni di alta finanza che essi conclusero tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, almeno sino alla chiusura della sede nel 1527, dopo gli avvenimenti del Sacco di Roma. Dopo un veloce accenno alle committenze artistiche nella loro città natale, Augusta, e presso il centro principale del mercato europeo, Venezia[12], il capitolo III propone una panoramica sulla comunità e le confraternite tedesche a Roma durante gli anni in cui la sede dell’impresa familiare ebbe il maggior volume di affari in città. Di seguito, nel capitolo IV, questo scritto affronta il suo nodo principale ovvero le committenze Fugger a Roma nel Cinquecento[13]: (1) la gestione della Zecca romana e la sua produzione di monete e medaglie per conto del Papa, la cappella della famiglia presso la chiesa della nazione tedesca di S. Maria dell’Anima con le commissioni a (2) Giulio Romano e (3) Girolamo Siciolante da Sermoneta e il misterioso (4) palazzo Fugger, decorato secondo il racconto di Giorgio Vasari, da Perin del Vaga.
Dalla ricostruzione della saga dei Fugger “emerge in tutta la sua grandezza l’ homo novus rinascimentale il cui spirito innovativo e sperimentatore ha posto le fondamenta della società moderna”[14].
[1] La mostra fuospitata dal Bargello a Firenze (1 marzo – 15 giugno 2004) ma ebbe una prima edizione presso l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (8 ottobre 2003 – 12 gennaio 2004). La collaborazione tra due musei ha permesso la realizzazione della mostra e del catalogo. La citazione da Alan Chong è tratta da p. XV del catalogo pubblicato in Italia dall’Electa (Milano, 2004).
[2] Il corso, il Manierismo in Mostra, è tuttora attivo presso la nostra facoltà.
4 Opere appartenute e commissionate da Bindo Altoviti, in Chong-Pegazzano-Zikos, 2004, pp. 374-377.
[5] Vedi nota 84 del capitolo I Fugger grandi committenti: Augusta e Venezia.
[6] Vedi il capitolo Il ruolo dei Fugger negli avvenimenti del tempo, paragrafo L’Agenzia romana.
[7] Vedi il capitolo Il palazzo Fugger, la sede del banco e Perin del Vaga.
[8] Dall’Introduzione di Alan Chong in Chong-Pegazzano-Zikos, 2004, p. XXII.
[9] Marc Bloch, Apologia della storia o Mestiere di Storico, Einaudi, Torino, 1998 (Titolo originale: Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, Colin Editeur, Paris, 1993). L’edizione citata, curata dal figlio Etienne Bloch in collaborazione con Jacques Le Goff, completa la precedente edizione a cura di Lucien Febvre del 1949. Il saggio è stato redatto basandosi sul materiale manoscritto e dattiloscritto composto da Marc Bloch durante l’occupazione tedesca della Francia, prima della sua morte a Lione, fucilato dai Tedeschi il 16 giugno 1944. La citazione è tratta da p. 166 dell’edizione italiana del 1998.
[10] J. Le Goff nell’introduzione all’edizione italiana del 1998, pp. XI, scrive a riguardo: “ Marc Bloch insiste sul ruolo dello storico. (…) E’ contro la storia-racconto, contro la storia descrittiva pura e semplice, l’affermazione della necessità della spiegazione storica. (…) Marc Bloch avrebbe voluto studiare il ruolo della comparaison, e questa è una delle sue ossessioni metodologiche. Marc Bloch è uno dei pionieri della storia comparata; è attraverso la comparazione dei fenomeni e dei sistemi storici che egli pensava che lo storico potesse avvicinarsi alle generalità che formano l’ossatura della storia”. Bloch non è contro le specializzazioni nel mestiere di storico: “la scienza non scompone il reale se non allo scopo di osservarlo meglio, grazie a un gioco di fari incrociati, in cui fasci di luce si combinano e si compenetrano costantemente l’un l’altro”. Ma mette in guardia: “il guaio comincia quando ogni proiettore pretende di vedere tutto da solo; quando ogni provincia del sapere scambia se stessa con una nazione”. Da M. Bloch, 1998, p. 122.
[11] La frase è tratta dai fogli d’appunti dello storico francese, raccolti e pubblicati nell’edizione del 1998, pp. 146-170, la citazione è a p. 157 e differisce sensibilmente dalla frase corrispondente della redazione definitiva (p. 112-113).
[12] Argomento del secondo capitolo.
[13] Che è anche il titolo della tesi, i numeri tra parentesi di seguito indicano i sottotitoli che costituiscono le sezioni del capitolo terzo dedicato alle committenze romane.
[14] Citazione da Giuseppe Pericu, sindaco di Venezia dal 1997 al 2007, in Nuvolari Duodo Valenzano, 2003, p. 9.
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